mercoledì 12 febbraio 2014

I parrucchieri cinesi, a Ferrara in due anni si sono raddoppiati

Nella provincia di Ferrara i parrucchieri cinesi sono passsati da  18 a 38 al 30 settembre del 2013. Il dato lo fornisce la Camera di Commercio di Ferrara (in tutta la provincia sono 977 imprese italiane)
Quelle in città sono passate da 11 nel 2012 ai 21 attuali.
Con 25 euro, in molti di questi esercizi è possibile fare tinta, taglio e piega, quando invece in un parrucchiere nazionale per lo stesso trattamento viene mediamente richiesto circa il triplo del prezzo.
Molti sono i dubbi sollevati sulla regolarità di questi esercizi e qualità dei servizi e dei prodotti, a fronte anche di episodi di clienti che non solo non sono rimasti soddisfatti dal trattamento ma ne hanno addirittura avuto danni per la salute. Una cosa in deciso conflitto con il  fatto che oggi per aprire un negozio di parrucchiere serve una  qualifica professionale, che prevede un percorso di formazione della  durata di  3 anni e l’idoneità igienico sanitaria.
“Se questi negozi sono aperti, spiega Francesco Robboni, segretario provinciale dell’unione Cna Benessere e sanità, è perché questi requisiti, almeno in partenza i titolari dei saloni li avevano”.
Noi diremo allora, che si deve percorrere una strada con maggiori controlli, sulla qualifica e sulla regolarità del personale, ma anche sui prodotti usati. “Quello che per noi è importante, continua Rabboni, è la regolarità di questi esercizi non tanto concorrenza pesante sui prezzi”. Anche perché fino ad ora i saloni che hanno puntato sulla qualità non hanno risentito dell’avvento dei parrucchieri low cost. Non nasconde però Robboni che ora, con la crisi sempre più diffusa, qualche segnale di fastidio sul fronte concorrenziale inizia ad esserci.
La Camera di Commercio di Ferrara Punta invece è molto preoccupata sulla sicurezza dei prodotti la quale insieme alla Guardia di Finanza, da tempo porta avanti campagne di sensibilizzazione proprio su questi temi.
Spesso dietro al low cost si nascondono pericoli per la salute dei consumatori. I dati , infatti, indicano che sul mercato, al giorno d’oggi, un prodotto su 10 sia fuori norma, soprattutto nei saloni con prezzi troppo bassi.

Tablet dissequestrati - In negozio si possono usare

Qualcuno li aveva ribattezzati «iPiad». La vicenda ha avuto grande risalto sul web per giorni, sollevando più di una questione sul modo di affrontare l’innovazione tecnologica nel nostro Paese. Tutto è partito da una verifica dei finanzieri presso la piadineria di Roberto Cairo, il quale aveva offerto la possibilità di ingannare il tempo in attesa delle loro piadine consultando quattro iPad. I militari gli hanno contestato che i tablet, erano «sprovvisti dell’autorizzazione necessaria per essere installati in un locale pubblico. Il tutto ha portato al sequestro e sanzione: 1333 euro per ciascun apparecchio, totale 5300 euro.  
Molti sono stati i messaggi di solidarietà nel web, i quali  hanno portato all’interessamento del deputato astigiano del Movimento 5 Stelle Paolo Romano e la parlamentare europea Lara Comi ed un servizio di  «Virus» di Rai2. Cairo ha avviato quindi una petizione sul sito www.change.org: «Mi domando - ha scritto - se in Italia il problema sia un tablet in una piadineria». E ancora: «Io rispetto e voglio rispettare la legge. Ma vorrei anche che quest’ultima fosse chiara». In pochi giorni sono state oltre 1700 le adesioni.
Dopo qualche giorno è giunta una comunicazione firmata dal direttore dell’Ufficio Regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta dei Monopoli di Stato in cui ha disposto il dissequestro e l’archiviazione della sanzione.
Una volta tanto la vicenda si è risolta bene, e speriamo che questo faccia da precedente anche per chiunque voglia dare questo servizio ai propri clienti.